LA MORTE DI MATTIA: LO SPORT PUÒ PREVENIRE DI PIÙ?
Una conclusione verso la porta avversaria, poi la mano sul cuore, e il corpo che si accascia a terra. Così, domenica scorsa, ha perso la vita un ragazzo di soli 26 anni, Mattia Giani, calciatore di una squadra di Eccellenza fiorentina morto a seguito del malore che l’aveva colpito al 14esimo minuto della partita che si stava giocando a Campi Bisenzio. Una morte improvvisa, e ancora senza una spiegazione. Come quelle di Davide Astori, di Piermario Morosini, di molti altri atleti che, come tali, dovrebbero rispettare rigorosi parametri di idoneità medica per svolgere l’attività che fanno. Possibile, che dietro le loro morti, compresa quella del giovane Mattia Giani, ci sia una scarsa prevenzione? Risponde il presidente del Coni Veneto.
Negli ultimi quarant’anni le morti in campo non si sono arrestate, anzi sono aumentate per colpa di discipline arrivate sempre più al limite della sopportazione fisica, aumentando il numero delle vittime. L'80% delle morti improvvise sono causate da patologie cardiovascolari, e la categoria degli atleti è la più esposta. Dal 2006 a oggi in Italia sono stati circa 1.500 i decessi durante l'attività sportiva, e per l'85% si è trattato di amatori. È quindi nel dilettantismo, come nel caso di Matteo Giani, che bisogna aumentare i controlli.