I CENTRI IN ALBANIA: COSTI ENORMI, RISULTATI MINIMI
C'è una nave, nel Mar Mediterraneo, che nelle ultime ore ha compiuto un viaggio di mille miglia nautiche. È la nave Libra, della Marina Militare, chiamata a portare sedici migranti da Lampedusa all'Albania. Erano diretti verso le coste italiane, invece saranno i primi a finire nei centri per migranti allestiti nel paese balcanico: 16, tra bengalesi ed egiziani, intercettati su alcuni barchini in acque internazionali e portati nelle strutture italiane aperte dal Governo Meloni nelle località di Shengjin e Gjader.
Ci sono voluti mesi per aprirle, e costeranno un miliardo di euro in cinque anni: non è difficile capire perché un progetto simile possa costare così tanto, visto che il primo step è inviare una nave militare, con 70 membri di equipaggio, a percorrere mille miglia in mare per trasportare 16 persone.
La vera domanda però è cosa accade ora, una volta arrivate in Albania. Persone che saranno ospitate nei centri che vedete in queste immagini: container prefabbricati circondati da muraglie di filo spinato e reti alte per metri. Una sorta di carcere, perché tale è: li migranti che l'Italia porta in Albania sono sottoposti alla giurisdizione italiana e verranno trattenuti da un provvedimento di fermo firmato dal Questore di Roma, e che un giudice dovrà convalidare entro 48 ore. Poi si aprirà la procedura vera e propria: la domanda di asilo dovrà concludersi in 4 settimane, dopodiché chi ha diritto verrà trasferito in Italia, chi si vedrà respinta la domanda sarà rimpatriato dopo la permanenza nel Cpr. Questo, sulla carta, dovrebbe essere il procedimento. Nella realtà, però, le cose rischiano di andare diversamente. Che cosa accadrà se il fermo non verrà convalidato dal giudice? Primo nodo a cui non c'è una risposta chiara. Secondo: la procedura di asilo in Italia dura spesso più di un anno, a cui poi si devono aggiungere gli eventuali ricorsi, altro che quattro settimane. Terzo: chi avrà diritto di asilo verrà portato in Italia, chi si vedrà respinta la domanda finirà nei CPR per essere rimpatriato. E dove sono i Cpr? Oltre che in Italia, se ne è costruito uno da 144 posti direttamente in Albania. Ma come spesso accade, in mancanza di accordi per i rimpatri con i paesi d'origine, i migranti dovranno essere rilasciati. Non in Albania, che ha chiesto e ottenuto solamente una condizione: che queste persone non mettano mai piede sul suolo albanese. Anche gli espulsi che non possono essere rimpatriati, perciò, finiranno in Italia.
Il quadro, in questo modo, è presto fatto: non solo non cambierà alcunché nella gestione dei migranti, ma si spenderà un miliardo di euro per una spola inutile nel Mediterraneo che allungherà i tempi, rinchiuderà i migranti dietro a cancellate enormi (almeno, a Lampedusa, due passi per l’isola li avrebbero potuti fare, in orari ogni giorno stabiliti), per poi sperare che la burocrazia dell'accoglienza viaggi a tempi record per analizzare le loro domande. Col rischio che se veramente questo possa accadere, che il resto del paese (non solo gli altri migranti in attesa da mesi di risposte sul loro destino) si accorga che allora è davvero possibile accelerare la burocrazia. Basta volerlo.
Più che una soluzione, sembra semplicemente un costoso spot pubblicitario.