SÌ ALL'AUTONOMIA, MA NON COM'È SCRITTA NELLA LEGGE
L’autonomia differenziata è un principio che rispetta la Costituzione Italiana, ma non nel modo in cui è stata formulata del ddl Calderoli. È questo il succo della decisione presa dalla Corte Costituzionale sui ricorsi presentati da Toscana, Puglia, Sardegna e Campania contro la riforma bandiera della Lega. Sono bastati due giorni di camera di consiglio, ai giudici dell’alta corte, per formulare la loro decisione. L’intera sentenza verrà pubblicata nelle prossime settimane, ma il dispositivo diramato spiega ne già i punti fermi.
La Corte ha accolto solo parzialmente i ricorsi delle quattro regioni a guida centrosinistra, bollando come «infondata, la questione di costituzionalità dell’intera legge». Ciò significa che l’autonomia differenziata non è incostituzionale in tutto e per tutto. E che la legge approvata l’estate scorsa dal Parlamento, perciò, rimane in piedi.
I giudici, tuttavia, hanno rilevato sette profili di incostituzionalità nei vari articoli del provvedimento. Il che significa che pur rimanendo in piedi, così com’è scritta la legge è zoppa e inapplicabile. Sette disposizioni non da poco, quelle sottolineate.
In estrema sintesi, la Corte fa saltare la distinzione tra materie Lep (cioè legate alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi da erogare in maniera uniforme) e materie non Lep, indicando che si possono trasferire solo singole funzioni e non intere competenze. Per farlo, però, serviranno adeguate motivazioni. Dovrà inoltre essere il Parlamento, e non palazzo Chigi da solo, a indicare i criteri che il governo deve seguire per stabilire gli annosi Lep, che non potrà emanare da solo. Un altro punto cruciale, è quello fiscale: per la Consulta, la partecipazione delle regioni al gettito nazionale non può essere stabilita o modificata con un decreto ministeriale, occorre una legge nazionale.
Senza questi capisaldi, il progetto per ora si ferma: il parlamento dovrà intervenire con i dovuti correttivi, per rimettere in carreggiata il ddl Calderoli. Ma la decisione della Corte ha un’altra conseguenza: quella di far saltare, verosimilmente, il referendum abrogativo richiesto da sindacati e partiti di opposizione. L’esame della richiesta di consultazione popolare è previsto a dicembre, ma dopo questa decisione potrebbe essere ormai già superato: la richiesta era stata presentata sul ddl Calderoli originario, quello in cui sono contenuti i sette commi che la Corte Costituzionale ha – di fatto – eliminato con un tratto di penna. Ora che la legge è diversa, la richiesta di referendum potrebbe non avere più alcun valore.