TV7 NEXT - IL CAPITALE INVISIBILE
Da oltre cinquant’anni l’umanità consuma natura più rapidamente di quanto la Terra riesca a rigenerarla. Zone umide scomparse, suoli erosi, oceani impoveriti. Eppure il Prodotto interno lordo — la bussola di governi, investitori e imprese — continua a considerare il capitale naturale come una risorsa infinita. L’economista di Cambridge Partha Dasgupta definisce questa impostazione un errore di sistema, non una semplice svista.
Negli anni Cinquanta la natura veniva percepita come abbondante, gratuita e inesauribile. Una premessa che oggi si rivela il punto cieco centrale dell’intero sistema economico.
Il modello economico che calcola solo i gol segnati
Dasgupta ricorre a una metafora calcistica illuminante: una squadra che valuta la propria performance solo sui gol segnati, ignorando quelli subiti, può pensare di essere in vantaggio mentre sta perdendo 5 a 1.
È ciò che succede con i sistemi contabili nazionali: celebrano la produzione agricola senza registrare l’erosione dei suoli, applaudono la pesca ignorando il collasso degli stock ittici, esultano per la crescita del PIL mentre gli ecosistemi si deteriorano. Il risultato è una crescita apparente che nasconde perdite sostanziali.
La domanda umana supera la capacità rigenerativa del pianeta
Dal 1970 la domanda dell’umanità supera del 70% la capacità rigenerativa del pianeta. Non si stanno utilizzando gli “interessi” del capitale naturale, ma lo si sta consumando direttamente.
In Italia il Sesto Rapporto sul capitale naturale indica che la maggior parte degli ecosistemi terrestri è in sofferenza. Nell’eurozona il 72% delle imprese dipende da almeno un servizio ecosistemico — dall’impollinazione alla regolazione idrica — che però non entra nei bilanci.
Il valore che non compare nei conti
La natura genera valore economico concreto. Secondo la Commissione Europea, ogni euro investito nel ripristino degli ecosistemi produce da 4 a 38 euro in benefici diretti. In Italia il rapporto è particolarmente favorevole: 2,4 miliardi di valore a fronte di 261 milioni di costi.
Questo potenziale rimane nascosto finché gli stati non misurano il capitale naturale e finché le imprese non rendono visibili rischi e dipendenze nei propri strumenti decisionali.
Chi sta innovando
Alcuni paesi hanno iniziato a trattare gli ecosistemi come veri asset: Paesi Bassi, Canada e Colombia misurano gli stock naturali, registrano l’usura e calcolano il valore dei servizi che producono.
Nel settore privato, iniziative come la Task Force on Nature-related Financial Disclosures incoraggiano maggiore trasparenza sui legami tra attività economiche e natura.
Verso una ricchezza più completa
La proposta di Dasgupta ruota intorno alla “ricchezza inclusiva”, un indicatore che somma capitale umano, prodotto e naturale. Una lettura più fedele della realtà che distingue la crescita autentica dall’illusione contabile.
Gli ecosistemi non sono un dono gratuito, ma asset produttivi. Consumare capitale naturale senza registrare le perdite equivale a esultare per un gol mentre l’avversario sta segnando a ripetizione.
Servizio a cura di Claudia Chasen, redazione TV7.