VENEZIA, LA PROCURA ACCELERA PER CHIUDERE INDAGINI
Altre sette ore, in Procura a Venezia, per l'ex assessore alla Mobilità Renato Boraso, arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta che coinvolge il Comune di Venezia. I pubblici ministeri, che lo accusano di undici episodi di corruzione nei quali avrebbe piegato la sua funzione pubblica e i poteri amministrativi che ne derivavano a favore di imprenditori amici e compiacenti, hanno interrogato l’unico degli indagati ancora ristretto in carcere per la terza volta. Secondo i fascicoli degli inquirenti, Boraso si sarebbe speso per autorizzazioni o per stringere i tempi dei procedimenti, con pressioni sugli uffici, in cambio di danaro o regalie.
Un prossimo interrogatorio - che si ritiene potrebbe essere l’ultimo - è già stato fissato per mercoledì della prossima settimana, quando il tema del confronto con i magistrati dovrebbe essere il dodicesimo caso contestato: quello relativo alla vendita dei palazzi pubblici Donà e Papadopoli al magnate Ching e, soprattutto, al tentativo (vano) di vendergli anche i 41 ettari dei Pili ai piedi del ponte della Libertà, acquistati all’asta nel 2005 da Brugnaro per 5 milioni di euro e presentati al magnate come possibile area di sviluppo residenziale-alberghiero.
«Stiamo rispondendo alle singole contestazioni, dando la nostra versione dei fatti», si è limitato a dire, all’uscita dal Palazzo di Giustizia di piazzale Roma, l’avvocato Umberto Pauro, difensore dell’ex assessore.
Proseguono, nel frattempo, anche gli interrogatori degli altri indagati: venerdì è andato in scena quello dell’imprenditore Fabrizio Ormenese, molto amico di Boraso e considerato una sorta di procacciatore di affari per l’ex amministratore.
L’obiettivo della Procura è stringere al massimo i tempi, per chiudere le indagini entro ottobre e arrivare all’udienza preliminare prima della scadenza delle misure cautelari, a metà gennaio.