VICENZA, I CANCELLI ARRIVANO DAVVERO A CAMPO MARZO
Negli ultimi anni la città di Vicenza si è sempre divisa tra favorevoli e contrari all’opera. Tra chi la ritiene un’opzione utile, per quanto esteticamente discutibile, per limitare spaccio e degrado, e tra chi invece ne boicotta l’installazione a tutti i costi, ritenendola una sconfitta per le politiche di legalità della città berica.
Sta di fatto che in queste ore, e ancora una volta tra feroci polemiche tra i corridoi di Palazzo Trissino, si è passati all’azione: sono iniziati, infatti, i lavori per recintare una porzione di Campo Marzo. Un parco simbolo, un’area verde che tutti conoscono e che dà di Vicenza il primo biglietto da visita ai viaggiatori che escono dalla stazione ferroviaria. Ma che per essere liberata da spaccio, degrado e criminalità aveva bisogno di un intervento deciso.
Per ora, è stata posata una prima recinzione leggera in metallo, lungo il perimetro dove poi sorgerà quella vera e propria. L’amministrazione ha deciso di delimitare la zona dell’area verde dove si trova il parco giochi, con un intervento che, dopo il via libera della Soprintendenza e del ministero dell’Interno costerà 250 mila euro per una cancellata che si estenderà per 500 metri, e un’altezza di circa due. Non sarà un semplice cancello, sarà decorata con stemmi comunali e avrà un colore grigio in stile britannico, con lance sfumate d’oro sulle punte. E sarà accessibile in sei varchi.
Un’opera che ancora divide in città. A Palazzo Trissino si sta vivendo in queste ore la trasposizione delle diverse anime della cittadinanza: l’obiettivo dell’amministrazione è rendere la zona più fruibile e controllata, agevolare la presenza di persone, famiglie e bambini, e così sfruttare la porzione recitata anche per eventi che rivitalizzino la zona. Per le opposizioni, capitanate dall’ex primo cittadino Francesco Rucco, l’effetto sarà invece quello di spostare lo spaccio in altre parti della città. “Una sconfitta per Vicenza”, ha detto l’ex sindaco in consiglio comunale, “Noi non l’avevamo fatto perché avevamo capito che la città non la voleva”.