GIULIA È UN SIMBOLO, NON DIVENTI MAI UNO STRUMENTO
Gino Cecchettin ha atteso ventiquattr'ore, dopo l'arringa difensiva dei legali di Filippo Turetta. Probabilmente con il suo solito aplomb, quella forza d'animo con cui si è fatto conoscere all'Italia intera, anche stavolta ha cercato di trattenere la rabbia, il magone, o qualunque altra sensazione avesse nel cuore. Stavolta però non ce l'ha fatta, si è sfogato come mai prima d'ora aveva fatto pubblicamente: "Mi sono sentito offeso", ha scritto su Facebook commentando la linea difensiva dei legali dell'assassino di sua figlia, "la memoria di Giulia è stata umiliata". Che cosa volesse dire, l'ha spiegato lui stesso in queste ore, ospite a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, di un convegno in aula dedicato proprio all'importanza della lotta contro la violenza di genere. Una riunione aperta da un minuto di rumore, anche stavolta, a margine del quale così ha spiegato le sue sensazioni.
C'è da capirlo, Gino Cecchettin. Un uomo che non solo ha sopportato una delle battaglie più dure, la morte di sua figlia per mano dell'ex fidanzato, ma che da questo lutto atroce ha trovato una forza nuova. Quella per lottare contro i mulini a vento di una società che, dietro le quinte, fa una fatica enorme a smettere di soffiare sulla diversità tra uomo e donna, sin dai più piccoli gesti quotidiani. Giulia Cecchettin è diventata un simbolo di questa lotta: forse l'Italia aveva bisogno di qualcosa che la smuovesse veramente, ma mettetevi nei anni di chi ha dovuto subire una perdita del genere. Il simbolo, l'avrebbe lasciato molto più volentieri agli altri. Ha scoperto che il fidanzato, allora, trattava la sua figlioletta come un oggetto, una sua proprietà. E pochi gironi fa, ha sentito gli avvocati di quello stesso ragazzo, utilizzare Giulia, la sua bontà e la sua forza, quasi a discolpare alcune responsabilità. Chiunque, avrebbe avuto come minimo uno scatto d'ira. Quel ragazzo, Filippo Turetta, oggi è rinchiuso in carcere, e martedì sarà condannato. La forza di Gino, è quella, adesso, di poter accettare tutto. Persino una condanna diversa dall'ergastolo. ma poi non chiedetegli di stare ancora zitto, e incassare ancora una volta in silenzio.