TURETTA, PROCESSO CONCLUSO: "E ORA VOLTIAMO PAGINA"
"Non esiste una giustizia capace di restituire ciò che è stato tolto, ma esiste la consapevolezza che la verità è stata riconosciuta e che le responsabilità sono state pienamente accertate". E' con queste parole che oggi Gino Cecchettin commenta, in una nota inviata alla stampa, la decisione della procura Generale di Venezia di rinunciare al ricorso in appello contro Filippo Turetta, di fatto chiudendo il processo nei confronti dell'assassino di Giulia Cecchettin, e rendendo definitiva la sua condanna all'ergastolo. "Verrebbe naturale pensare di continuare a pretendere giustizia, di cercare ulteriori riconoscimenti della crudeltà o dello stalking. Ma continuare a combattere quando la guerra è finita è, in fondo, un atto sterile. La consapevolezza che è il momento di fermarsi, invece, è un segno di pace interiore e di maturità, un passo che andrebbe compiuto più spesso". Filippo Turetta aveva rinunciato già il 10 ottobre scorso alla richiesta di appello, di fatto senza contestare l'omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dicendosi pentito e pronto a scontare il carcere a vita. IL 6 novembre, ad una settimana dall'appello in aula bunker, anche l'accusa ha deciso di fare lo stesso. Perché il ricorso sarebbe stato a quel punto solo simbolico: avrebbe provato a dichiarare Filippo colpevole anche delle aggravanti di stalking e crudeltà, un atto formale buono per i manuali di diritto, ma che non avrebbe cambiato nulla dal punto di vista della sua pena, e anzi avrebbe costretto Gino, i fratelli e la famiglia di Giulia a rivivere tutto ancora una volta.
Venerdì prossimo, giorno in cui era fissata l'udienza, gli avvocati si presenteranno comunque in aula bunker, davanti alla Corte d'assise d'Appello di Venezia, per formalizzare la loro rinuncia e chiudere il caso. "La giustizia ha il compito di accertare i fatti, non di placare il dolore", ha scritto Gino Cecchettin. Critico, contro la decisione della Procura, è stato invece lo zio materno di Giulia, Andrea Camerotto, che sui social si è sfogato contro una decisione ritenuta a più riprese vergognosa. "75 coltellate non sono crudeltà, e nessuno ora si prenderà la briga di dichiarare il contrario", ha scritto lo zio sui social, "Da famigliare e da cittadino mi sento tradito e umiliato, il mostro rimarrà mostro, ma vestito da bravo ragazzo". Una posizione che umanamente si può anche comprendere. Ma tutti, in fin dei conti, oggi tirano un sospiro di sollievo, per una vicenda che è davvero finita.